mercoledì 21 dicembre 2011

Dice che al Mandrione

Esistono paesaggi urbani che non potremmo trovare in nessun altro posto del mondo, vere e proprie scenografie metropolitane scolpite da una storia millenaria che non conosce interruzioni, in cui la "Roma eterna" non si coglie più nell'immobile monumentalità di un passato ancora in piedi, ma al contrario nella costante mutazione di una città che ha continuato a trasformare se stessa e il suo patrimonio in un alternarsi di splendore e miserie: la borgata del Mandrione è il risultato di tutto questo. Antichi acquedotti Romani e Rinascimentali, linee ferroviarie, tracce di campagna e schegge di borgata si incrociano e si accavallano in un'orgia architettonica senza tempo, dove la magnificenza delle antiche opere idrauliche si fonde con l'ingegno della povertà delle recenti baraccopoli, regalando nuova vita e nuova funzionalità alle vestigia del nostro passato. Questo viaggio nella stratificazione storica e antropologica si snoda lungo il percorso dell’omonima via del Mandrione e l’ultimo tratto della via Casilina vecchia, dove il confine tra la città e la campagna è un illusione che si ripete ad ogni svolta.

La zona venne occupata dagli sfollati del bombardamento di San Lorenzo del 1944, che proprio sotto gli archi dell'acquedotto Felice trovarono rifugio e ispirazione architettonica. Con l'aiuto di travi e lamiere gli archi dell'acquedotto vennero convertiti in veri e propri spazi abitativi, dando vita ad una piccola comunità con pacchetto completo di orticelli, bande di monelli scalzi e puttane di quartiere al seguito. E mentre case-grotta, case-sassi e case-barche attirano l’attenzione e la curiosità dei turisti di tutto il mondo tra l'Olanda e la Lucania, solo a Roma avrete modo di scoprire ciò che resta di quelle che potremmo battezzare case-baracche-acquedotto: più baracche che case, ma con il merito di un'ingegnosità che va ben oltre il risultato estetico. Questa convivenza tra sfollati, zingari e puttane negli anni 50 fu ovviamente una folgorazione per Pier Paolo Pasolini, che in onore di tanta sporca decadenza spese fiumi di pellicola e di inchiostro per celebrare la vita del Mandrione e dei suoi giovanissimi abitanti: " (...) la pura vitalità che è alla base di queste anime, vuol dire mescolanza di male allo stato puro e di bene allo stato puro: violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto." 

La parte più raccolta è l’ultimo tratto verso la via Casilina, dove tutto sembra convergere verso un ideale centro di equilibrio: le strade e i binari si rincorrono in maniera sempre più serrata sotto gli archi dell'acquedotto Felice, e tra il via vai di ciclisti e l'onnipresente abbaiare di sottofondo, il Mandrione si trasforma in borghetto di artigiani, carrozzieri e falegnami. Un piccolo orto di campagna atterrato nella metropoli da chissà dove diventa parchetto per far pisciare i cani, centro di aggregazione sociale e luogo di bivacco gastronomico con tanto di panche, griglia per la braciolata e terrazza con vista sulla ferrovia, un spazio metafisico dove il lento strisciare dei treni scandisce un tempo che quassù sembra aver deciso di scorrere con un ritmo proprio, parallelo e rallentato.

Pochi metri più avanti l’illusione continua nel regno del "marmocemento", dove nonostante abbiate mancato l'appuntamento con lo spacciatore del parchetto, inspiegabilmente appariranno di fronte a voi la bocca della verità e una miniatura del Colosseo. Geloso del proprio status di rappresentante della città eterna, il Colosseo è forse li a ricordarci che anche lui, come gli acquedotti del Mandrione, ha il suo sporco passato di pascolo per vacche e cava di marmi papalina che lo ha tenuto in vita, ed è ingiusto pensare che sia sempre rimasto li solo come un bel pezzo da museo. In realtà questa bizzarra visione si spiega con la presenza dell'adiacente fabbrica "Roma Antica", una fucina di evocativi manufatti in marmocemento tra il kitsch e il pretenzioso, in cui statue classiche e fontane gareggiano per eccesso di pomposità alla ricerca di una collocazione in qualche "sobrio" giardino Romano.
Con i binari che scompaiono all’orizzonte e gli acquedotti che sembrano non avere fine viene da chiedersi dove sia finita la città, che quasi sembra farsi da parte per lasciare spazio a questo gioco di equilibri senza tempo. Il continuo incrociarsi, apparire, sparire crea una vertigine che lascia un vuoto allo stomaco, e quando il vuoto si trasforma in languore e il languore in fame nera è segno che è arrivato il momento di fare un salto in zona "Certosa"” per approdare in una delle ultime trattorie romanesche: l'Osteria da Betto e Mary.

Li dove il bagno si chiama "cesso" e il vino della casa stordisce con la violenza di un cazzotto in faccia, è possibile ritrovare i sapori perduti dell'autentica cucina Romana. Tra rutti, stornelli e pianti di infanti disperati a squarciare l'aria e le membrane del timpano, un piatto di pajata e un fiasco di vino rosso vi riconcilieranno con le atmosfere delle vere borgate Romane. Per un esperienza veramente hardcore non dovete assolutamente perdere i pranzi sociali a 10 euro ogni ultima domenica del mese, dove in compagnia degli abitanti della zona potrete unire l'utile al dilettevole contribuendo alle piccole battaglie sociali del quartiere e soprattutto alla difesa del vostro colesterolo. E se al secondo piatto di trippa sentirete crescere in voi un senso di colpa (e probabilmente non solo quello), consolatevi pensando che la vita è sempre meglio godersela: in fondo da queste parti di eterno rimangono solo gli acquedotti!

"Betto e Mary" si trova in via dei Savorgnan 99


lunedì 28 novembre 2011

"Dice che a Roma"..compie un anno!

"...Insomma tra la Roma turistica dei menu fissi e dei gladiatori rumeni sotto al colosseo, e quella odiata e snobbata da noi stessi Romani per i soliti difetti, esiste veramente (e posso provarlo!) la città più bella del mondo.
La città che non finisci mai di scoprire, quella che non ti aspetti, che si nasconde volontariamente agli occhi di tutti e attende solo di essere conosciuta, apprezzata, mangiata, bevuta e per noi che siamo sempre un pò "sboroni", anche sopravvalutata.
E se mi seguirete vi porterò a conoscere quei monumenti, quelle storie, quegli angoli e quelle trattorie (o gli aperitivi "do se magna de più") che vi aiuteranno a scoprire la nostra città da un punto di vista differente. Che non è quello di Julia Roberts ma nemmeno quello di "Roma è bella ma non ci vivrei" (vabbè era Venezia ma è uguale).
Perchè io da qui non mi muovo, giuro.
In una parola: fidateve!"

Con tale dichiarazione di intenti si apriva esattamente un anno fa la scommessa di questo blog. Sperando che perdonerete l'eccezione di questo post sfrontatamente autoreferenziale, voglio quindi approfittare dell'occasione per celebrare, ringraziare e anticipare. Con quasi 18.000 contatti e 2000 fans sulla pagina facebook (a chi non piace arrotondare per eccesso) i risultati di questi primi dodici mesi sono andati ben oltre le mie più rosee aspettative..in quanto alle promesse iniziali, saprete dirmi voi se siano state mantenute!
Nel corso di un anno ci siamo calati nell'oscurità delle cripte più nascoste, dove  inciampando in mezzo a teschi, tibie e femori abbiamo fatto la conoscenza di misteriose confraternite, per poi riemergere alla scoperta del barocco Romano e dei suoi straordinari effetti ottici: tra prospettive tridimensionali, figure anamorfichefinte cupole abbiamo quindi lasciato che i maestri del '600 ci prendessero ingegnosamente per il culo con nostra somma ammirazione.
Dopo un cacio e pepe alla romanissima Garbatella e una frittura di mare alla foce del Tevere, abbiamo infine sconfitto la nostra natura di provincialotti metropolitani per immergerci curiosi e diffidenti nella Roma multietnica del mercato di piazza Vittorio e dei sapori mediorentiali dell'Esquilino. E chi pensava che l'unico grande mistero di Roma fosse l'oscuro meccanismo di individuazione delle "ore di punta" nel traffico del Grande Raccordo Anulare, si è dovuto ricredere scoprendo l'esistenza di misteriose iscrizioni di formule alchemiche nei giardini di Piazza Vittorio o ammirando le inquietanti tracce del passaggio dei defunti nel museo-sacrestia di una chiesa neogotica. Alcuni avranno raccolto il suggerimento di una passeggiata romantica al cimitero degli artisti o al giardino degli aranci per sedurre in maniera originale una nuova conquista, mentre altri avranno approfittato dell' occasione di poter sfoggiare qualche aneddoto, raccontando la curiosa leggenda di una fontana o della torre di un palazzo del centro.
Insomma questa Roma l'abbiamo riscoperta insieme: trash e misteriosa, ricercata e caciarona, preziosa e decadente, romantica e un pò coatta, ma soprattutta nascosta, gelosa, diffidente. Una città che sembra voler nascondere il meglio per proteggerlo e svelarlo poco a poco..e tra attese, permessi, scoperte casuali, deludenti chiusure e aperture inaspettate siamo riusciti infine a scorgere il retro di quella famosa cartolina, alla cui immagine ci eravamo in fondo un pò assuefatti.
La promessa che posso farvi è che non siamo neanche all'inizio.

Come ad ogni vero compleanno non può mancare la sorpresa del regalo. E alla faccia di ogni scaramanzia vi annuncio che da questa settimana iniziano ufficialmente i lavori che porteranno il blog a diventare una pubblicazione da sfogliare. Una guida alternativa con una selezione dei migliori "fuoripista" in un percorso di immagini e parole che approderà anche fuori dalla rete! L'uscita è prevista entro marzo 2012, e adesso fate finta di non averlo letto!


Vi lascio con questa immagine di Bruno Lomasto ( sentirete presto parlare di lui nel nuovo progetto) che riassume alla perfezione lo spirito del blog : una turista Giapponese, ormai orfana del suo gruppo organizzato in un rischioso fuoripista sotto i portici di Piazza Vittorio, chiede indicazioni ad un anziano del posto. Forse nessuno dei due ci capirà un cazzo, o forse sarà l'occasione per scoprire una Roma diversa.
L'importante è che anche lei abbia finalmente trovato la sua "guida" alternativa...proprio come voi che siete finiti su questa pagina per caso, per scelta o per semplice curiosità.

Grazie a tutti, davvero!

Andrea

mercoledì 16 novembre 2011

Dice che il 2 novembre apre la cripta..

Se lo scorso Halloween zucche di plastica altamente infiammabili, attempate streghette sexy e parcheggiatori abusivi più aggressivi del solito non sono bastati a soddisfare la vostra fame di terrore, per il prossimo anno vi consiglio di pazientare almeno fino al 2 Novembre, quando i sotterranei dell'isola Tiberina sveleranno il macabro segreto di un antico cimitero, dove scheletri, composizioni di ossa umane e ragnatele vi regaleranno finalmente quel brivido in più che stavate masochisticamente cercando. Non tutti sanno infatti che in un seminterrato dell'ospedale Fatebenefratelli, attiguo alla chiesa di S. Bartolomeo all'isola, esiste ancora oggi la sede con cripta annessa di un'antica Confraternita religiosa, conosciuta come Confraternita dei Sacconi Rossi per via del curioso abbigliamento consistente in un mantello con cappuccio rosso ( in ogni caso nulla a che vedere con la petulante bambina della celebre favola).

La congregazione nasce nella seconda metà del Settecento e, in virtù della posizione estremamente strategica della propria base operativa, si dedica sin dal principio alla raccolta e alla sepoltura delle salme rinvenute nelle acque del fiume. Agli sfortunati titolari dei corpi restituiti dal crudele biondo Tevere venivano dedicate messe di suffragio nell'oratorio appositamente riservato, che nel corso del tempo venne letteralmente addobbato con le loro stesse ossa e parti di scheletri, assumendo l'attuale aspetto, per certi versi piuttosto sinistro, di ideale set cinematografico per horror-movies di serie B. A causa delle continue piene del Tevere che allagavano regolarmente la cripta, e soprattutto in occasione di un epidemia di colera che fece consigliare a papa Gregorio XVI una più canonica spoltura di tutti i cadaveri al cimitero del Verano, l'allegra confraternita perse con il tempo la propria ragion d'essere e si estinse alla fine del 1800, chiudendo apparentemente per sempre lo storico sodalizio tra l'antico fiume portatore di morte e i devoti custodi delle ossa delle sue vittime.

La rinascita della congregazione è avvenuta in anni più recenti grazie all'intervento dei cosiddetti "fratelloni" della Madonna dell'orto, simpatici confratelli devoti alla madonna protettrice dei pizzicaroli e dettaglianti alimentari in genere, che in questa riuscitissima joint venture tra "frutta e verdura" e morti annegati, hanno deciso di ripristinare le antiche tradizioni dei loro lugubri colleghi. Ed è così che, forse anche per sopperire alla mancanza di quel lato macabro, aspetto imprescindibile per una qualunque confraternita nell'immaginario collettivo ( in realtà per mantenere in vita le tradizioni delle confraternite Romane, così come previsto dal loro statuto), dall'inizio degli anni '90 i "Fratelloni" si ritrovano al fianco dei Sacconi Rossi nel ripetere la magia di un'antica processione a lume di candela, che ancora oggi  si spinge sulla punta estrema dell'isola ripercorrendo le orme degli antichi compagni.

La processione prende il via subito dopo la messa celebrata nella chiesa di S.Giovanni Calibita, quando confratelli e devoti si avviano lungo lo stesso percorso che secoli prima portava i loro predecessori sulle rive del fiume alla ricerca di corpi da recuperare, accompagnati dalla suggestiva illuminazione delle torce, a cui si aggiunge oggi il moderno contributo di un tripudio di flash di fotografi degno di una prima cinematografica con red carpet. Se vi aspettate di trovarvi al cospetto di inquietanti personaggi seminascosti da mantelli rossi, sarete sorpresi di scoprire una simpatica congregazione di bionde signore fresche di parrucchiere, più adatte ad un torneo di burraco che al ripescaggio cadaveri, accompagnate da altri affabili personaggi, che dopo aver sorretto la pesantissima croce con incedere solenne fino alla punta estrema dell'isola, rivendicheranno il proprio ruolo da protagonisti chiedendovi cortesemente la spedizione delle foto perchè "aò, tutti l'anni sta fatica e a me manco 'na foto". Il corteo si chiude con un rituale dal sapore pagano, dove la sacralizzazione dell'elemento naturale diviene benedizione cristiana delle acque del Tevere, sigillato dal lancio di una corona di fiori in memoria di tutti gli annegati, alla cui lista rischia di aggiungersi un ulteriore manipolo di curiosi che si spintonano pericolosamente fra loro sui bordi del fiume per assistere meglio al momento solenne (per chi volesse evitare di finire venerato nella vicina cripta è consigliabile seguire la cosa da una distanza meno ravvicinata).

L'ultimo atto è la discesa nel piccolo cimitero sotterraneo e la benedizione da parte dei confratelli delle ossa dei defunti. In un atmosfera fortemente suggestiva, tra candele, teschi umani e macabre composizioni di ossa in lampadari di oscuro design, di fronte all'altare si scorge infine uno scheletro rivestito dell'abito tradizionale dei confratelli, una sorta di cappuccetto rosso stecchito la cui visione darebbe immensa soddisfazione al simpatico lupo della favola. Questo "gusto del macabro", caratteristica imprescindibile del nostro retaggio culturale religioso, e che da sempre attrae morbosamente ogni essere umano, si manifesta in questo luogo nel suo aspetto più ancestrale e raffinato. E così, opportunamente distanti dalle barocconate di importazione in perfetto stile Halloween, vi lascerete infine suggestionare dalla forza della tradizione, la cui ricchezza viene difesa e portata avanti da queste persone come parte importante della storia e della cultura della nostra città. Ed è per questo motivo che ai Sacconi Rossi va tutta la riconoscenza: la mia...e quella di chi ha concluso male un bagno al fiume un paio di secoli fa.

martedì 1 novembre 2011

Pasquino dice che..

Analizzare il tema dell'informazione al giorno d'oggi sarebbe impresa troppo dura e sconfortante. Fortunatamente la proliferazione in internet di siti e blog di controinformazione moltiplica le possibilità di confrontarsi con punti di vista differenti da quelli di un inclassificabile Emilio Fede o Augusto Minzolini, mentre sui social network, tra bufale e grandi verità, impazza la condivisione delle notizie e un nuovo modo di fare satira, decisamente più democratico e meno radical chic di quella a cui siamo stati abituati dalle nostre televisioni. Se questo fenomeno di controinformazione e satira popolare ci sembra una svolta possibile solo grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, allora è proprio il caso di dire che anche questa volta "nun ce siamo inventati niente":  perchè se oggi riusciamo a "postare" su facebook il nostro sdegno dal sorriso amaro con un semplice clic, i nostri indignatissimi antenati i loro "post" solevano appenderli al collo di una antica e malandata statua tornata alla luce nel 1501 nei pressi di Piazza Navona.

Questo busto di pietra dal volto sfigurato, ritenuto da alcuni la statua di un guerriero Greco (probabilmente parte di un gruppo scultoreo più grande) venne rinvenuto nel corso dei lavori di ristrutturazione del vecchio palazzo Orsini in Piazza di Parione (oggi Piazza Pasquino), per conto del nuovo inquilino il Cardinale Oliviero Carafa. L'ingenuo Cardinale pensò bene di esporre il frutto di questa scoperta archeologica allo scopo di abbellire l'arredo urbano della piazzetta antistante il suo nuovo palazzo, e mai avrebbe pensato che, da quel momento in poi, fino al conclusivo episodio della breccia di porta Pia, questa scelta si sarebbe rivoltata contro se stesso e tutta la successiva stirpe di vescovi e cardinali della cosiddetta roma papalina. A partire da allora cominciarono infatti a trovarsi ogni mattina sulla statua messaggi, cartelli e veri e propri manifesti di dissenso, che facendo dell'ironia la loro arma più tagliente, inaugurarono l'era della satira popolare e accessibile a tutti: il potere ecclesiastico del tempo si trasformò dunque in bersaglio delle cosiddette "Pasquinate". Il nome Pasquino, secondo antica tradizione popolare, sembrerebbe riferirsi a un noto sarto del rione, conosciuto e apprezzato nel quartiere proprio in virtù  delle sue rime e invettive satiriche. Se ancora oggi si cerca di limitare la libertà di espressione in rete con leggi bavaglio ed infimi espedienti limitativi come l'obbligo di rettifica per i blog (per adesso scampato), anche allora non ci si risparmiava di certo nel tentare di oscurare la voce popolare, e considerato il mezzo, la soluzione si presentava ben più semplice rispetto agli attuali marchingegni legislativi: secondo papa Adriano VI, simbolo dei più biechi intrallazzi nepotistici e più volte vittima di invettive, sarebbe stato infatti sufficiente gettare la statua nel fiume Tevere! Fortunatamente, in questa come in altre occasioni, il desiderio di annegare Pasquino venne fermato dalla forza della ragione di chi faceva notare come la repressione avrebbe solo causato più malcontento.

Non solo papi e vescovi divennero le vittime preferite delle Pasquinate, ma anche i vip dell'epoca e personaggi influenti della vita politica. Ne sa qualcosa Donna Olimpia Maidalchini, cognata di Innocenzo X e vera e propria manovratrice politica della prima metà del seicento (tanto che venne soprannominata ironicamente la papessa, o peggio ancora "la pimpaccia"). Di colei che faceva il bello e il cattivo tempo usando ogni mezzo per consolidare il suo immenso patrimonio, rimane celebre la Pasquinata che con un geniale gioco di parole in latino così restituiva il suo nome "OLIM-PIA, NUNC-IMPIA" (una volta pia, ora empia). Nonostante la promulgazione di leggi repressive con il rischio di condanna a morte, studenti della vicina università e letterati dell'epoca continuarono nei secoli a dare vita all'unica vera voce di opposizione allo sconfinato potere temporale dei papi, vivi o appena morti che fossero ( Pasquinata celebre alla morte di papa Clemente VII, fu l'esposizione di una caricatura del suo medico, ritenuto in parte responsabile del decesso, accompagnato dalle parole "ecco colui che toglie i peccati del mondo").

Tutta questa attività politico-creativa sembrò dover cessare definitivamente con la fine del potere temporale del papato e l'inizio della nuova era Risorgimentale, ma Pasquino si era ormai consolidato come espressione della coscienza popolare dei Romani, e non fu difficile trovare nel tempo i degni sostituti di un potere temuto e allo stesso tempo ridicolizzabile. A tal proposito ricordiamo l'invettiva che diede voce alla "statua parlante" in occasione della visita di Hitler a Roma, pomposamente agghindata per l'occasione in un eccesso di fastosa apparenza: "Povera Roma mia de travertino, te sei vestita tutta de cartone, pe' fatte rimirà da 'n'imbianchino" (alludendo alle sue dubbie qualità pittoriche, carriera in cui sarebbe stato meglio avesse perseverato). Probabilmente oggi, epoca in cui i fasti di una seicentesca cortigianeria, trionfo di puttane e adulatori, ritrovano la loro massima espressione di un tempo, senza gli attuali mezzi di comunicazione Pasquino tornerebbe protagonista indiscusso della satira, seppellito quotidianamente da montagne di componimenti. In ogni caso la tradizione persiste, e se passerete a salutarlo vi renderete conto che non molto è cambiato, se non i destinatari delle missive: una volta papi e cardinali e oggi rappresentanti dis-onorevoli della cosiddetta "casta" politica. Purtroppo l'attuale bacheca di legno messa a lato della statua per l'esposizione degli insulti in rima, toglie spontaneità a quelle invettive fino a pochissimi anni fa affisse direttamente alla sua base, come se tale obbrobrio in rovina dovesse venire preservato per il suo valore estetico e non invece valorizzato per la sua funzionalità riconosciuta e legittimata da oltre cinque secoli di colti improperi. Ma se vi sentirete abbastanza creativi e incazzati nessuno vi impedirà, ora che non ci sono più le sentinelle di Clemente VIII a farvi rischiare una condanna a morte,  di affiggere nottetempo un cartello al collo di Pasquino alla vecchia maniera, e rendere così omaggio allo stile dei vecchi contestatori .
Nel frattempo possiamo comunque goderci la bacheca così com'è, con questo originale annuncio di offerta di lavoro, in pieno stile "Pasquinata":




sabato 15 ottobre 2011

Dice che a Palazzo Spada le prospettive ingannano

A pochi passi da Campo de Fiori e dalla sontuosa dimora farnesiana, arrivati in Piazza Capo di Ferro verremo accolti dalla sfarzosa facciata di Palazzo Spada, fastosamente elegante nel suo ricco impianto decorativo quanto architettonicamente ipocrita nel suo volgere le spalle agli agognati postriboli e osterie, che un tempo proliferavano lungo via Giulia. Il palazzo fu costruito nel 1540 per il Cardinale Girolamo Capodiferro, già annoverato a suo tempo fra i "Cardinali avvezzi a vivere licenziosi" in occasione di un discusso conclave in cui venne fortemente osteggiata l'elezione di Papa Marcello II, giudicato dal gaudente clero troppo rigido nelle sue velleità riformistiche. Considerando che il suddetto "riformista" tolse il disturbo per colpo apoplettico dopo soli 23 giorni di pontificato, dopo attenta analisi storica verrebbe spontaneo commentare l'episodio con un "mortacci se je l'hanno tirata". Il nome Spada deriva dall'acquisto del palazzo da parte del Cardinale Bernardino Spada, il quale divenne proprietario dell'immobile nel 1632 per la cifra di circa 30000 scudi: con questa informazione invito coloro che continuano a calcolare imperterriti il valore dei prezzi in vecchie lire ad evitare insensati ragionamenti sulla fruttuosità dell'investimento a distanza di oltre 4 secoli, tentando un improbabile cambio tra lo scudo rinascimentale e l'euro della crisi globale.

Palazzo Spada e' conosciuto principalmente per la ricca collezione di quadri ed opere d'arte accumulate nel tempo dallo stesso Bernardino, ed esposte tuttora nell'ala del palazzo da lui stesso fatta costruire come ampliamento della dimora originaria. Non essendo questa la sede per itinerari classici, abbiamo deciso di saltare l'ingresso alla celebre quadreria e partecipare alla visita speciale mensile che da la possibilità di entrare negli uffici del Consiglio di Stato, situati nel piano nobile del palazzo. Scortati e guardati a vista come carcerati durante l'ora d'aria e con il divieto assoluto di fotografare gli ambienti, saremo quindi introdotti nella dimora privata del Cardinale Capodiferro, magnifica celebrazione di arte classica e richiami pagani.

Nella prima stanza scopriremo il secondo esemplare esistente a Roma di meridiana catottrica (abbiamo visto l'altro nel corso della precedente visita al convento di Trinità dei Monti). Avendo già speso una quantità eccessiva di neuroni nello sforzo di comprendere e spiegare  il funzionamento di questo affascinante orologio a parete nel post precedente (probabilmente un limite del sottoscritto imputabile al mio personalissimo passaggio alla lettura dell'orologio a lancette solo in età adulta, e dunque con speranze nulle di riuscire ad interpretare un "astrolabio gnomonico catottrico"), preferirei passare velocemente alla sala successiva, il cui impatto visivo all'ingresso lascerà senza fiato chiunque abbia un minimo di sensibilità estetica che vada oltre il minimal. Ci troviamo nella galleria degli stucchi, mirabile capolavoro di Giulio Mazzoni, dove un'imponente decorazione a stucco fa da cornice ad una serie di affreschi, con una continuità tale da rendere l'intera galleria un'unica meravigliosa opera d'arte. La foto scattata (senza flash, ci tengo a sottolinearlo) in regime di intimidazione, rende solo vagamente l'idea della ricchezza, armonia, trionfo decorativo che investirà il visitatore lasciandolo letteralmente a bocca aperta. I soggetti degli affreschi sono in gran parte tratti dalle "metamorfosi di Ovidio", importante componimento epico della letteratura Latina in cui ricorre il tema della trasformazione di dei e mortali. Tra questi troviamo Giove, che non esita a trasformarsi in qualsiasi cosa al solo scopo di sedurre le sue vittime: da pioggia dorata con effetti ingravidanti (mito di Danae), a colleghe di sesso femminile (si trasforma nella dea Diana per sedurre la ninfa Callisto), fino ad un aquila di larghe vedute che rapisce il bellissimo giovinetto Ganimede per farne il suo "coppiere". Soggetti pagani nella dimora di un Cardinale che si tentava di giustificare attraverso una lettura morale che avesse dei risvolti cristiani: le conquiste di Giove come "abbandono al divino"...ma il divino incarna il vizio e rende tutto più confuso. E se l'importante era comunque soddisfare le velleità estetiche del Cardinale Capodiferro, alla fine chissenefrega della morale cristiana.

Dalla galleria degli stucchi in poi si entra nel cuore degli attuali uffici del Consiglio di Stato, dove tre diverse sale si susseguono tra espressione artistica (la seconda è interamente dedicata al mito di Perseo e Callisto), vecchi pc, poltrone pretenziose e pile di cartelline, documenti e ricorsi accatastati ovunque in fiduciosa  attesa che giustizia amministrativa sia fatta. Un' occasione unica per godersi Il contrasto tra la nobile sontuosità del barocco e l'atmosfera disordinata in stile Ufficio Sinistri di Fantozziana memoria. Nell'ultima sala, la cui decorazione venne commissionata dal successivo proprietario Spada, le decisioni del Consiglio di Stato vengono messe a votazione in nome della giustizia: il tutto al cospetto dell'antica statua di Pompeo ( muta testimone della congiura contro Cesare, assassinato ai piedi della statua quella celebre mattina delle Idi di Marzo), e in un ambiente "costruito" secondo illusorie prospettive di finta profondità. Un contesto di menzogne e illusioni, metafora perfetta e scoraggiante dell'attività oggi svolta in questi stessi luoghi.

All'uscita dall'appartamento ci ritroveremo nuovamente nel magnifico cortile interno del palazzo. Da li ci attende ancora un'ultima sorpresa, che già possiamo intravedere dal cortile stesso attraverso una vetrata come concessione ai non paganti, ma che non esiteremo a raggiungere di persona (solo perchè compresa nel biglietto della visita speciale) per sperimentarne da vicino la soprendente illusione ottica. Si tratta della famosa galleria prospettica del Borromini, un capolavoro di arte, architettura e matematica, dove le distanze e le dimensioni si riveleranno del tutto ingannevoli e illusorie. Una sequenza di colonne doriche si sviluppa lungo un corridoio di oltre 35 metri, che va a chiudersi con una statua di Marte a grandezza naturale: ma questa è solo l'illusione. Nella realtà il  pavimento che si inclina, i pilastri progressivamente sempre più bassi e più vicini nella distanza tra i loro intervalli, le pareti che convergono e i riquadri del pavimento via via più piccoli, riveleranno come i 38 metri percepiti siano in verità solamente 8 metri di lunghezza. Una catenella scoraggia i più curiosi ad entrare per sperimentare di persona, ma per chi come me sente più forte il complesso dell'altezza che la paura di un richiamo, scoprirsi un gigante di fronte alla statua di Marte alta in realtà non più di 60 cm, è una tentazione alla quale non si può resistere. Alla fine non siamo entrati nella quadreria, ma è proprio nel cortile interno, tra statue di dei pagani ed altre sorprendenti decorazioni a stucco, che abbiamo scoperto il più bel quadro che possa mai trovare posto in un museo. Un meraviglioso cielo romano perfettamente incorniciato tra gli architravi delle quattro pareti: l'unica opera che il Cardinale Spada non avrebbe mai potuto far mancare alla sua ricca collezione.

Gli appartamenti del Consiglio di Stato sono visitabili su prenotazione ogni prima domenica del mese, telefonando al numero 06 6832409. Il biglietto costa 11 euro e comprende la visita guidata. L'ingresso al cortile con vista sulla galleria prospettica è invece gratuito.


lunedì 3 ottobre 2011

Dice che al mercato Esquilino fai il giro del mondo in 130 banchi

Ogni volta che si parla del quartiere Esquilino, da sempre ci si divide tra i toni entusiastici di chi ci vede un eccellente laboratorio sperimentale di nuovi modelli interculturali, e quelli decisamente indignati di chi al contrario preferisce assumerlo a simbolo del degrado del nostro centro storico. Per chi come me non abita nel quartiere, e in maniera colpevolmente "naif" si limita all'esperienza superficiale del visitatore, è persino troppo facile concordare con la prima fazione, e lasciarsi catturare dal fascino di quella che rimane in ogni caso una delle zone culturalmente e sociologicamente più ricche ed interessanti della nostra città. Se poi avete voglia di avventurarvi verso mete esotiche ed inesplorate, conoscere popoli e sapori lontani, e soprattutto se vi siete svegliati con il desiderio di sperimentare ai fornelli nuove possibilità gastronomiche, ma c'è un'unica cipolla mummificata che sta morendo di solitudine nel vostro frigorifero, allora la vostra destinazione è sicuramente il nuovo Mercato Esquilino, situato a pochi passi dagli splendidi portici di Piazza Vittorio.

In seguito alla chiusura nel 2001 del vecchio mercato storico sulla piazza, la nuova struttura è stata fatta rinascere nei locali dell'ex caserma Pepe, e divide tuttora gli spazi con la facoltà di studi orientali dell'Università della Sapienza di Roma. In questa bizzarra convivenza studenti universitari e abitanti del "quartiere mondo" si incrociano nel cortile comune sotto lo sguardo benevolo della statua di Confucio, in una coesistenza apparentemente casuale e allo stesso tempo perfettamente logica, dove mettere in pratica ciò che viene insegnato nelle lezioni di lingua Cinese o Araba diventa facile come scendere a prendere un caffè nell'ora di pausa tra una lezione e l'altra.
Che ci troviamo in un mercato diverso lo percepiamo subito dall'assenza dei classici strilloni romaneschi, che normalmente fanno da colonna sonora alla nostra spesa con la loro simpatica sguaiatezza. In questo caso la nostra preoccupazione non sarà più quella di lasciarci guidare dalle grida in romanesco in cerca della migliore qualità di frutta e verdura al prezzo più conveniente, ma ben più a monte tentare di capire che cosa cazzo sia quel frutto o quella verdura lì sul banco, e soprattutto cercare di interpretare con scioltezza l'impronunciabilità dei loro nomi per poi infine riuscire ad esibirci in un disinvolto "che me dai mezzo chilo de topinambur?" (?!).

Tuberi ed ortaggi, identificabili a prima vista come l'eccentrico risultato di qualche scellerata sperimentazione genetica, si sveleranno a noi con gli esotici nomi di Ampalaya o Dasheen, e con tutta una serie di applicazioni che per noi poveri habituè dell'insalata in busta da supermercato (io in primis) rimarranno semplicemente impraticabili.
Se siete troppo timidi per chiedere lumi ai negozianti o preferite tenervi a distanza dal banco per evitare che una carpa ancora viva vi salti tra le braccia, troverete a soccorrervi in alcuni angoli del mercato delle interessantissime schede esplicative sull'origine di alcuni prodotti, con suggerimenti di ricette che vi aiuteranno a spaziare oltre i confini del "ma che è 'sto coso?". In ogni caso saranno tutti prontissimi a spiegarvi le caratteristiche e l'utilizzo dei prodotti esposti, con una disponibilità che a seconda dei livelli di cinismo potreste interpretare come l'innata cordialità di culture più accoglienti della nostra o la legge universale del commercio globalizzato (te lo spiego, così lo compri).

Imparerete così che  il Chayote del Costarica è un ortaggio a metà strada tra una patata e una zucca, mentre con il Dasheen potreste preparare un'ottima zuppa in stile Giamaicano (ma non entusiasmatevi troppo, è solo un tubero). Se nei vostri piani avete in mente una nottata di fuoco potreste far cadere la vostra scelta sul piccantissimo Rocoto Amarillo del Sudamerica, o viceversa scegliere l'amara Ampalaya per una decisamente meno eccitante serata a base di tisana come rimedio contro l'aerofagia. E così tra Platani Cubani, Okra Indiana e frutti di Litchi la vostra spesa assumerà in breve tempo e nel giro di una decina di banchi un sapore del tutto nuovo e sconosciuto.
I colori e gli odori delle spezie in bella vista vi riporteranno all'atmosfera di un autentico Suk Mediorientale, dove anche le carni sono trattate rigorosamente secondo i dettami del metodo di macellazione Halal.

E se non fosse per quelle timide isole di pizzicagnoli Romani a ricordarci dove siamo, l'illusione sarebbe perfetta, e per un pò riusciremmo persino a sentirci come quei goffi turisti occidentali a caccia di esotiche tipicità. Ed è così che contenti e sognanti usciremo con le buste piene di spezie profumate e ortaggi "un sacco strani", che una volta abbandonata l'atmosfera e l'entusiamo del momento, lasceremo marcire in compagnia della cipolla suicida in favore di un "ma sai che te dico? annamose a magnà na pizza e fanculo all' Ampalaya".
Per quelli che invece avessero voglia di sperimentare per davvero vi rimando all'indirizzo delle amiche della Banda dei Broccoli, che con ben altri livelli di preparazione mi hanno concesso la loro presenza in questa passeggiata gastronomica. Per alcuni suggerimenti speziati alla Piazza Vittorio style potete mettervi a curiosare tra le loro ricette  qui, qui oppure qui (seguite i link). Dopodichè non vi resterà che andare diretti al Mercato Esquilino per osservare, imparare, conoscere...e ovviamente fare la spesa.

Il nuovo mercato Esquilino si trova in Via Principe Amedeo ed è aperto dal lunedì al sabato dalle 7:30 alle 14:30.

lunedì 19 settembre 2011

Dice che l'alimentari all'angolo è meglio de un museo

Se iniziassi col nominare i più grandi architetti del Rinascimento, e finissi col raccontarvi di un paninozzo al prosciutto in una bottega di generi alimentari, sono certo che nutrireste quanto meno dei dubbi sulla coerenza di questo post. Per dare una logica a questo discorso dovremo quindi riconsiderare il tutto da un punto di vista prettamente "toponomastico": Piazza Bernini, via Bramante e via Borromini sono infatti i nomi delle vie che caratterizzano il rione San Saba (detto anche piccolo Aventino), che al principio degli anni '20 venne realizzato dall'Istituto Autonomo delle Case Popolari su progetto del giovane architetto Quadrio Pirani. Se Piazza Bernini rappresenta il cuore del rione, a sua volta il cuore della piazza, nel senso più strettamente sentimentale del termine, rimane senza dubbio il leggendario "Super Alimentari" posto all'angolo sul lato di via Bramante.
L'espressione "salto nel tempo", che in tutta la sua odiosa banalità si presta perfettamente a descrivere l'ingresso nella bottega, non sarebbe comunque sufficiente a spiegare quel misto di sorpresa e rassicurante malinconia che, con la stessa violenza di uno scappellotto a tradimento, vi investirà dopo aver varcato la soglia dell'accogliente negozietto: un pò come riscoprire un pezzo di foresta vergine nascosto sotto la tangenziale.

Al di là del classico bancone da salumeria, con la stessa soggezione che si potrebbe provare all'interno dell'antica biblioteca di Alessandria, vi lascerete sovrastare inebetiti da piani e piani di scaffali che sembrano racchiudere tutto il sapere e la conoscenza del mondo vintage, dove tra un flacone di shampo e un vocabolario di Latino, potreste persino riconoscere quel vecchio album di figurine Panini che lasciaste incompleto per maledetta pigrizia, e che ritroverete li a fissarvi con fare accusatorio tra un vecchio numero di Tex e un libro di medicina, quasi come a chiedervi il perchè del vostro abbandono.

Se non potete più vivere senza possedere la quarta puntata del fotoromanzo "confidenziale" del 1973 o un vocabolario di Italiano-Tedesco del 1985 allora il "Super Alimentari" è il posto che fa per voi.
Come in tutte le botteghe che si rispettino l'offerta speciale è sempre dietro l'angolo, e sia che riguardi un panino con la mortazza o una confezione di due rotoli di carta igienica, vale sempre la pena documentarsi con cognizione di causa sugli  immancabili cartelli scritti a mano, pronti ad accogliervi affissi sui lati dell'ingresso.
Per gli eterni afflitti da malinconia del passato, la vista delle care vecchie scatole quadrate di biscotti Gentilini impilate fino al soffitto ( vogliate perdonarmi la marchetta al noto biscottificio Romano) potrebbero persino procurare vividissimi flashback di natura allucinatoria aventi come oggetto il vostro tazzone della colazione in seconda elementare.

Il simpatico bottegaio, giustamente orgogliosissimo del suo prezioso negozio, non esiterà ad intrattenervi con aneddoti e ricordi aventi per oggetto lo sterminato patrimonio fonte di ispirazione che lo circonda: tra scheletri di bestie mitologiche (sarei pronto a giurare di aver sentito parlare di un pesce diavolo Messicano con tanto di citazione avallante di Piero Angela), scarpini da calcio originali di non so quale giocatore di quale annata della Roma, e documenti fotografici d'epoca, il confine tra ciò che può essere acquistato e ciò che va esclusivamente e religiosamente ammirato è molto labile.
E così, perfettamente calati nell'atmosfera, e dimentichi per una volta di quegli stronzissimi stuzzicchini da happy hour, non potrete fare a meno di uscire dal Super Alimentari con un panino al prosciutto e una birra in lattina, pronti a  trasformare il vostro aperitivo delle sette in un piacevole bivacco sulle panchine dei giardinetti di Piazza Bernini, magari sfogliando un vecchio numero di "Zagor" appena acquistato o perchè no rappacificandovi finalmente con il vostro ritrovato album delle figurine.

La chiesa di San Saba col suo oratorio, gli anziani che chiacchierano sulle panchine, i banchi del mercato e il monumento ai caduti tra le aiuole di begonie, faranno sì che ancora una volta si ripeta la straordinaria magia che solo Roma sa fare: quella di trasportarvi improvvisamente in un piccolo paese al centro della stessa metropoli infernale che, solamente poche ore prima, aveva cercato di strangolarvi tra le lamiere del maledetto raccordo anulare nell'ora di punta.
I villini bifamiliari dell'IACP, con i loro giardinetti e la cortina di mattoncini dello stesso colore dell'antico monastero di S.Saba e delle mura Aureliane che proteggono il rione, ci riportano a quel concetto di cittadina ideale dove tutti ancora si conoscono e si sparlano allegramente alle spalle: "ma veramente quella stronza della Polverini paga 130 euro di affitto per una casa dell'ente proprio qui a S.Saba?".  Ebbene sì!
Alle spalle di questo paesino metropolitano c'è l'abbraccio del verde delle terme di Caracalla e della passeggiata archeologica, mentre tutto intorno discese e scalinate degradano dolcemente verso la piramide Cestia, Testaccio, le mura Aureliane, e verso quel traffico che per un'ora, quell'ora di trentanni fa, sembravamo esserci completamente dimenticati. Insieme a Bernini, Borromini e Bramante!

mercoledì 31 agosto 2011

Dice che è liberty, anzi è gotico, anzi è fantasy. Anzi no! Dice che è Coppedè!

Nella placida atmosfera residenziale del quartiere Trieste, a due passi dal celebre Piper, può capitare di ritrovarsi improvvisamente catapultati nell'atmosfera metafisica di un incrocio di strade, dove le regole architettoniche e gli stili più disparati sembrano fondersi nell'illogicità apparente di una vera e propria scenografia fuori dal tempo. Ci troviamo nel cuore del cosiddetto quartiere Coppedè, dal nome del suo progettista e realizzatore Gino Coppedè. Come in tutte le archittetture sui generis che si rispettino, non poteva mancare anche in questo caso l'inevitabile leggenda metropolitana del misterioso suicidio del "folle" architetto, scomparso (guarda caso) "in odore" di satanismo. La versione ufficiale propende in realtà per una meno suggestiva cancrena polmonare, versione che rispetto alla leggenda perde però quel suo alone di morbosità, che nel tempo ha dato adito alle tante affascinanti congetture legate all'arcana simbologia rappresentata ed espressa sulle facciate dei suoi palazzi. Il progetto venne commissionato nel 1915 ad un già conosciuto e apprezzatissimo Coppedè dalla Società Anonima Edilizia (da non confondersi con il genere "edili anonimi" del tipo  "ciao, mi chiamo Roberto Carlino e sono un palazzinaro"), e venne da lui personalmente seguito fino alla già discussa morte avvenuta nel 1927.

L'ingresso più scenografico è indubbiamente dal lato di via Tagliamento, dove l' imponente arco (richiamo all'antichità classica e ai suoi archi di trionfo), che unisce fra loro i cosiddetti palazzi degli ambasciatori, vi accoglierà incorniciando questo sorprendente paesaggio architettonico come ad indicare una simbolica via di passaggio verso un tempo sospeso. Il maestoso lampadario in ferro battuto, complemento d'arredo piuttosto insolito per una collocazione in esterni, ci suggerisce immediatamente che non ci troviamo in una strada qualunque. Alla destra dell'arco verrete accolti da un'edicola sacra dove la classica madonnina sembra protendere un Gesù bambino versione rugbysta, rappresentato in fase di placcaggio per atterrare al suo ingresso l'incauto visitatore. Colpisce immediatamente la straordinaria ricchezza di decorazioni, simboli e fregi, che nel caso specifico dei palazzi degli ambasciatori si distinguono per la loro peculiare asimmetricità. Il risultato complessivo risulta comunque stranamente armonioso e piacevole alla vista. Al centro di Piazza Mincio, una volta passato l'arco,  troneggia la cosiddetta fontana delle rane, che con un notevole sforzo intuitivo potrete arrivare ad immaginare come caratterizzata dalla presenza di rane (di pietra ovviamente). Tutto intorno si dispiega il delirio architettonico e stilistico:


L'ingresso del palazzo al civico 2 è una fedele rappresentazione della scenografia di "Cabiria", kolossal cinematografico Italiano del cinema muto (1915) dagli imponenti allestimenti scenici, a cui persino Gabriele D'Annunzio contribuì in veste di sceneggiatore.
Lo spirito visionario del film, frutto delle allucinazioni del regista Giovanni Pastrone, meritò evidentemente la concretezza di un tale omaggio dal suo degno estimatore Coppedè. Esattamente di fronte, dall'altro lato della fontana, si erge il cosiddetto palazzo del ragno. L'origine del nome è chiaramente deducibile dall'inquietante raffigurazione di un ragno che sovrasta il portone, che se proprio volessimo andare al di là del suo essere aracnide, potremmo dotarlo di una miriade di significati simbolici: a partire dalla Grande Madre che tesse il destino degli umani, fino ad un più terra terra "ragno porta guadagno",  ributtandoci così nuovamente a capofitto nella misteriosa indecifrabilità della simbologia del nostro Coppedè.

Potremmo completare il minestrone aggiungendo la giusta dose di suggestioni massoniche e templari (ovviamente non manca la raffigurazione di una coppa al terzo piano di uno dei palazzi degli ambasciatori, subito identificata come il santo Graal), che nell'era post-codice Da Vinci si adattano perfettamente a qualsiasi argomento e situazione. Per non farci mancare nulla, come sobria par condicio architettonica, dopo i richiami alla Romanità classica dell'arco di ingresso possiamo infine notare come l'intera facciata del palazzo del ragno rappresenti un azzardato richiamo all'architettura Assiro Babilonese. E a questo punto il "mei coglioni" ci sta tutto! Ma la vera regina della piazza è il complesso dei cosiddetti villini delle fate.
Chi altri se non il nostro Coppedè riuscirebbe ad accostare decorazioni murali raffiguranti Dante e Petrarca, processioni  di monaci, vedute di Firenze, falconieri, donne in peplo, il leone Veneziano di S. Marco, segni zodiacali, la lupa di Romolo e Remo e frasi latine in una vera e propria orgia decorativa (praticamente manca solo l'effigie di Che Guevara e il logo della Apple) sulle facciate di un unico complesso architettonico? Il tutto allo scopo di abbellire un fiabesco castelletto Medievale, dove tra logge e torrette, gli elementi del fantasy e del manierismo si fondono alle allora attualissime suggestioni del liberty e dell'art decò.

In ogni caso l'elemento che realmente capovolge tutte le regole della fisica e della razionalità è l'inaspettata disponibilità dei portieri, che al nostro timido incedere all'interno degli androni armati di macchina fotografica, quando nelle nostre orecchie già risuona l'eco di un "' 'ndo cazzo vai è proprietà privata", ci accolgono con un sorriso gentile per lasciarci assaporare questo squarcio di atmosfere anni '30, dove, perlomeno negli interni, il liberty e l'art decò la fanno da padrone con inaspettata coerenza.
Non sorprende che Dario Argento, altro visionario maestro del cinema Italiano, abbia scelto l'atmosfera gotica e surreale di questo quartiere per l'ambientazione di alcune scene di due celebri film: "L'uccello dalle piume di cristallo" e "Inferno". In particolare nella seconda pellicola, autentico delirio narrativo, si rimarca l'accostamento simbolico tra palazzi misteriosi e occulto, e proprio uno degli edifici Coppedè di Piazza Mincio viene scelto come residenza Romana della "Mater lacrimorum", una delle tre temibili madri degli inferi dislocate nelle loro residenze di Friburgo, New York e appunto Roma (lo stesso palazzo era stato in precedenza utilizzato anche per il film "The Omen, il presagio"!).
Insomma le suggestioni non mancano di certo e l'intera piazza e le sue strade si presentano come un libro aperto a mille interpretazioni: dalla fiaba, al romanzo gotico, passando per il polpettone storico di "Cabiria" e chiudendo, come sempre, con l'horror e il mistero. Perchè alla fine ciò che rende affascinante questo angolo di Roma è  proprio quella sottile inquietudine che accompagna la sua indecifrabilità, il frutto di un genio che con la sua opera ha creato uno stile che, in suo onore e per ovvie impossibilità classificative, è riconosciuto ancora oggi con il nome di "stile Coppedè".


mercoledì 20 luglio 2011

Dice che alla Magliana c'è una chiesa lounge

Ho sempre nutrito forti dubbi rispetto ai risultati estetici delle chiese moderne, generalmente in bilico fra l'anonimo e l'orrendo. Se invece parliamo della Chiesa del Santo Volto di Gesù, nonostante mi senta in dovere di lasciare in sospeso il mio giudizio personale, posso tranquillamente ammettere che al concetto di "stile moderno" si accompagna eccezionalmente in questo caso anche quello di espressione artistica, per quanto nei limiti della nostra epoca e con risultati a prima vista più consoni a un museo, un auditorium o un lounge bar.

Al progetto di due architetti (Piero Sartogo e Nathalie Grenon) hanno infatti partecipato ben otto artisti di prestigio, in un ritorno a quella commistione tra funzionalità architettonica e contributo artistico che ormai da secoli mancava nella realizzazione dei luoghi di culto. Vi invito quindi ad una passeggiata alla Magliana nuova per un'escalation di reazioni che, partendo dall'istintivo rifiuto, e passando per l'ironia e la curiosità, potrebbe addirittura concludersi con l'apprezzamento e l'ammirazione verso questo risultato di sperimentazione ibrida tra chiesa e galleria d'arte.
Per quanto ci si sforzi di dichiarare chiavi di lettura a sfondo religioso per spiegare alcune scelte prettamente artistiche (il corridoio esterno a V che si apre come in un abbraccio verso il figlio di dio, la vetrata circolare che riprende la forme del cosmo illuminato di luce mistica, "queshto Crishto che si immola" e così via ) risulta abbastanza evidente come tutta questa pantomima abbia l'unico scopo autoreferenziale di produrre arte ad uso e consumo di un pubblico laico che sappia apprezzare l'indubbio valore di un'opera moderna.
E in effetti per chi si approccerà con la curiosità del visitatore del MACRO, le proprie aspettative verranno sicuramente soddisfatte: pareti blu elettriche, sedili minimal, cristi serigrafati e un interessantissima via crucis da gustarsi come fosse un esposizione monografica permanente di opere contemporanee su formelle di ceramica smaltata.

I confessionali, segnalati da una targa in stile ufficio amministrativo, vi accoglieranno in due minuscoli ambienti blu elettrico dove un'inquietante riproduzione fotografica serigrafata del volto di Cristo, assisterà allo sciorinamento delle vostre malefatte dall'alto di un oblò. Dopo esservi affacciati all'interno sono certo che anche voi proverete l'impulso irrefrenabile di entrare a confessare tutti i vostri peccati con in sottofondo un pezzo dei Massive Attack. Dispiace pensare che le signore del quartiere, dopo essersi raccolte in preghiera in questa atmosfera lounge, debbano uscire a comprare le paste della domenica nel ben più anonimo bar pasticceria all'angolo, e quasi verrebbe voglia di caricarsele tutte in macchina e dare continuità alla loro esperienza con un aperitivo al Singita di Fregene.

Appena fuori dai confessionali, in opposizione all'immensa vetrata circolare che illumina a giorno l'intera aula liturgica, noterete il curioso dipinto murale di Marco Tirelli, intitolato "luci dalle tenebre" (a proposito! Non ho ancora restituito a Blockbuster l'ultimo capitolo della saga di Star Trek) raffigurante la terra circondata dalle tenebre originarie, a loro volta immerse nel blu profondo dell'abisso cosmico. In definitiva una serie di cerchi concentrici, il cui risultato finale da vita a quello che sembrerebbe essere il logo perfetto per un' impresa di costruzioni aerospaziali.

Decisamente interessante è la già menzionata carrellata di ceramiche smaltate realizzate da Mimmo Paladino per una personalissima reinterpretazione della Via Crucis. Per quelli che come me non avessero familiarità con i concetti di arte moderna e di stile naif contemporaneo, confrontare la lettura tradizionale di ogni episodio e tappa della via crucis con questa rilettura decisamente più libera, può trasformarsi in uno stimolante e divertente approccio creativo (sono convinto che ci sia creatività anche nella fruizione passiva dell'arte) verso uno stile generalmente poco accessibile, di cui anche da profani riuscirete ad apprezzarne la sorprendente vitalità ed inventiva. 
La grande vetrata circolare taglia a metà la semicupola creando un confine netto tra interno e esterno, e riprendendo quindi quel contrasto e commistione fra luci e ombre che ricorre in tutta la struttura. Le linee essenziali delle panche, lungi dal rendere fredda e distante l'atmosfera del luogo, ci riportano in realtà alla familiarità, al calore e alla cocente incazzatura di un pomeriggio all'Ikea. Dell'esterno vi colpiranno l'effetto moresco della semicupola appoggiata direttamente sull'edificio e una cancellata dall'andamento "tribale" (personalissima quanto inappropriata definizione che voglio anarchicamente concerdermi). In ogni caso sono certo che ognuno di voi scoprirà il proprio dettaglio personale, che vi incuriosirà e vi farà sorridere per quell'eccesso di audacia e innovazione destinati con azzardo e creatività a questa chiesa di quartiere popolare.

Per quanto mi riguarda ho trovato divertente un cartello posto nelle adiacenze dell'area esterna destinata ai bambini "la parrocchia declina ogni responsabilità per eventuali incidenti che ACCADONO nell'area giochi". Dichiarazione che riporta alla mente le parole di Gesù nel nuovo testamento "lasciate che i bambini vengano a me"..e a cui in questo caso verrebbe da aggiungere "se poi se fanno male cazzi loro". Indubbiamente un pensiero profondamente moderno.
La Chiesa del Santo Volto di Gesù si trova in Via Caprese 1 all'angolo con Via della Magliana nuova ed è generalmente aperta tra le 8:00 e le 18:30. Per andare sul sicuro meglio andare il sabato o la domenica mattina dopo la messa.
Fa parte del complesso anche la canonica, interessante in particolare per le scelte cromatiche degli interni, la quale rimane separata dalla chiesa attraverso l'efficace scelta architettonica di un corridoio a V.