venerdì 27 maggio 2011

Dice che sta in estasi religiosa...dice lei..

Se da sempre le statue sono sinonimo di mutismo e immobilità, allora vale certamente la pena andare a scoprire, in uno dei maggiori capolavori di Lorenzo Bernini, la capacità di trasformare un blocco di marmo in un'esplosione di sensi, dove il movimento, la fisicità e finanche la risonanza di un gemito, ci colpiranno con tutta la forza espressiva del barocco, lasciandoci ammirati, confusi e con la strana sensazione di risultare persino un pò indiscreti: stiamo parlando dell'estasi di S.Teresa D'Avila.

Per interpretare l'ambiguo mistero di questa eccezionale opera d'arte, o almeno per cercare di darle un senso e una lettura personale, dovrete recarvi nella chiesa di S. Maria della Vittoria in via XX Settembre, così chiamata in onore dei vittoriosi risultati in ambito bellico ottenuti da Cristiani contro Protestanti in occasione del match della Montagna Bianca, durante il campionato della guerra dei trent'anni. E fu proprio per celebrare questi "pii avvenimenti" che la chiesa venne riccamente e sfarzosamente decorata alla maniera barocca, così come ci appare oggi in tutto il suo splendore. Molti di voi la ricorderanno inoltre come una delle tappe del sopravvalutato romanzo "Angeli e Demoni", nel passo in cui il celebre investigatore Robert Langdon, interpretato da Tom Hanks nell'omonimo blockbuster americano, accorre sul tardivamente previsto luogo del delitto per ritrovarsi ovviamente a festa terminata di fronte ad uno dei cardinali, vittima predestinata, appeso in catene sopra una catasta infuocata e marchiato a fuoco con la scritta "FIRE" (un plauso alla focosa coerenza).

L'opera oggetto della nostra visita è collocata in una delle cappelle del transetto sinistro della chiesa, e più precisamente nella cappella funeraria della famiglia Cornaro, la cui decorazione fu commissionata all'artista dallo stesso Cardinale Federico Cornaro. Ci troveremo davanti ad una vera e propria rappresentazione scenica, dove il Bernini, mettendo a frutto tutta la sua esperienza nel campo come realizzatore di imponenti scenografie teatrali, ricostruisce lo spettacolo dell'estasi con protagonisti dell'azione la Santa e un sadico cherubino. Per completare la metafora del palcoscenico, Bernini non ci risparmia nemmeno gli effetti speciali delle luci dei riflettori, utilizzando l'artificio barocco di una finestrella nascosta, attraverso la quale la luce naturale del giorno, irradiandosi lungo una struttura artificiale di raggi di bronzo, riproduce un suggestivo effetto di illuminazione sugli "attori" al centro della scena. A chiudere il quadro troviamo persino la riproduzione del pubblico (la famiglia Cornaro) che assiste distrattamente allo spettacolo dalle altezze di un palchetto teatrale. Per comprendere il senso di quest'opera e le sue possibili letture, sarà bene riprendere il passo dai diari della Santa a cui l'artista si ispirò per la realizzazione del suo capolavoro.

"Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio. » (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13).  La Santa ci appare decisamente dotata di quella maestria descrittiva che farebbe invidia a Barbara Cartland e a tutte le più spudorate autrici di romanzi rosa della celebre collana Harmony nell'esplicitazione di tali sensuali atmosfere. E chi l'avrebbe mai detto, inoltre, che il mitico Mario Brega in "un sacco bello" di Verdone si sarebbe avventurato in una citazione Teresiana, riferendosi con leggiadria e cognizione di causa alla figura soprannaturale dell'angelo dotato di "spada de foco", accompagnando il tutto con un gesto non riportabile in forma letteraria, ma che sono certo molti di voi staranno in questo momento reinterpretando di fronte allo schermo del pc.

In effetti già ai suoi tempi molto si discusse sulla figura di questa santa, istitutrice dell'ordine delle monache e dei frati Carmelitani Scalzi, e fondatrice indefessa di conventi e case per il suddetto ordine con ritmi al limite della bulimia edilizia. Lei stessa soleva sottoporsi a mortificazioni corporali dettate dai sensi di colpa insinuati in lei da chi non vedeva nelle sue esperienze mistiche un accezione del tutto spirituale. In ogni caso la complessità della sua figura, al confine tra forza carismatica ed estrema fragilità fisica e mentale, dove la linea di demarcazione tra le fantasie sessuali di una giovane donna e l'esperienza del divino è labile e confusa, ispirarono al nostro Bernini una delle più emozionanti e vitali opere d'arte, proprio nel momento in cui, sotto il Pontificato di Innocenzo X, le sue quotazioni di artista cominciavano lentamente a scendere.

L'interpretazione del passo è magistralmente riprodotta nel dettaglio, con la Santa adagiata su una nuvola, che come una macchina teatrale la trasporta verso l'alto, e in cui  tutto il tormento, l'estasi e l'abbandono del corpo vengono trasferiti sull'effetto disordinato e scomposto dell'ampia veste, appena scostata dal giovane cherubino che con un sorriso perverso le punta la lancia pronto a mirare sul cuore. La bocca socchiusa e gli occhi al cielo sono la perfetta rappresentazione di quel "sacro erotismo" che molte altre volte ritroviamo nell'esperienza di tante celebri mistiche. A chiudere la scena abbiamo infine i membri della famiglia Cornaro, che in una perfetta istituzionalizzazione dell'arte del voyeurismo, assistono all'evento da un palchetto teatrale che affaccia direttamente sull'altare della cappella, trasformato da Bernini in palcoscenico per l'occasione. Appagati da tanta bellezza (e comunque sempre meno appagati della Santa), confusi tra erotismo e sacralità, indecisi fra le più nobili intenzioni e la voluta malizia dello scultore, probabilmente lascerete lo spettacolo senza essere riusciti a comprenderne davvero il significato, ma come dice la nostra S.Teresa in una frase a effetto da bacio Perugina "La cosa più importante è non pensare troppo e amare molto; per questo motivo fate ciò che più vi spinge ad amare". Insomma chissenefrega, andate a casa in buona compagnia e godetevi anche voi la vostra personalissima estasi.

La Chiesa di S. Maria della Vittoria si trova in via XX Settembre 17 ed è aperta tutti i giorni dalla 9:00 alle 12:00 e dalle 15:30 alle 18:30.

martedì 3 maggio 2011

Dice che al vino e "al resto" ci pensa la garbata ostella (II parte)

Segue la seconda parte dell'itinerario alla scoperta della Garbatella (leggete la prima parte se non l'avete ancora fatto).

Dopo avervi abbandonato per tre giorni in un estenuante aperitivo all' "acino brillo", prima di riprendere il nostro percorso sarà innanzitutto opportuno tastarvi il polso e accertarmi che siate ancora vivi. Fatto questo, vi invito a rimettervi in marcia per proseguire nell'esplorazione del quartiere, alla scoperta delle bellezze che la nostra garbata ostella tiene ancora in serbo per noi.

Prima di lasciare piazza Sant'Eurosia e i suoi dintorni, vi suggerisco di volgere la vostra attenzione al famoso lotto 24 confinante con la Piazza, altrimenti detto lotto delle "casette modello". Questo vero e proprio laboratorio di sperimentazione urbana, venne edificato nel tempo record di soli 5 mesi in occasione del XII Congresso Internazionale delle Abitazioni e Piani Regolatori del 1929 (pensate che palle), con lo scopo di celebrare le potenzialità estetiche di stampo razionalista applicate alla funzionalità dell'edilizia popolare, il tutto ovviamente a fini dimostrativi e propagandistici. Venne quindi indetto un vero e proprio concorso a cui parteciparono i più importanti architetti della "scuola Romana". Tra questi si distinse e si accaparrò il titolo di vincitore (stop al televoto) l'architetto Mario De Renzi, con l'esecuzione del cosiddetto villino Palladiano all'angolo tra via delle Sette Chiese e via Borri, così come ricordato sulla lastra posta ai piedi del cancelletto di ingresso. Il risultato di questo esperimento è un'isola urbanistica a se stante, dalle architetture sobrie e lineari, che si inserisce con la sicurezza dell'abito "casual" in questo contesto a tratti esageratamente neobarocco e a tratti eccessivamente troppo ministeriale. Sempre nelle adiacenze della piazza, esattamente sul lato opposto, non mancate di fare un salto alla cosiddetta "chiesoletta" di garbatella, dedicata ai Santi Isidoro ed Eurosia e molto cara agli abitanti del quartiere, in particolare legati al suo oratorio, luogo di aggregazione di generazioni di ragazzi tra partite di pallone, prime canne e interminabili sfide a biliardino (il capitano della Roma Di Bartolomei si formò proprio su questo campetto).

Vale sicuramente la pena dare un'occhiata alla simpatica meridiana posta sul muro della chiesa ed incisa su una lastra di marmo. Oltre ad indicarci le ore comprese tra le 10:00 e le 15:00, con quel mix di sacro e profano tipico del disancantato modo di fare dei Romani, prima ci invita a riflettere con "Insegnaci o Signore a contare i nostri giorni" e poi a sbevazzare impunemente con "È sempre l'ora per un buon bicchier di vino". Che è un pò in effetti lo stesso ragionamento fatto da me quando ho cominciato a sospettare di non capirci un cazzo di come leggere una meridiana. A questo punto, seguendo gli insegnamenti del Signore, se i tempi coincidono con quelli della cena (o del pranzo), prima di passare sotto l'arco di via Rubino vi consiglio caldamente una sosta nella trattoria "tanto pe magnà", situata al civico 9/15 di via de Jacobis.
Come sempre più spesso accade, questi leggendari posti dove "se magna bene e se spende poco" sono diventati le nuove frontiere del radical chic, e attori e politici sempre più numerosi cedono al richiamo del piattone di carbonara in trattoria, secondo la nuova moda degli pseudo-vip che tra una scappata al Billionare e una seratina ad Arcore, non dimenticano i piaceri semplici e genuini del popolo a cui "si mischiano" per benevolenza e ritorno d'immagine ( lo dico con impercettibile vena polemica). 
A proposito di ciò mi è capitato di avvistare il presidente della regione Renata Polverini, che in un geniale seppure involontario atto di autoironia, ha scelto di portare il suo staff a cena proprio qui, nel posto che porta il nome dell'obiettivo primario della sua carriera politica, nonchè del vero e proprio leit-motiv della sua attività in regione: "TANTO PE MAGNA' ", appunto! Il sito web della trattoria è una celebrazione dell'essenzialità e del minimalismo: una pagina sola, poche cazzate e informazioni rigorose. In ogni caso le promesse vengono mantenute e questo ci piace molto, quasi quanto le polpette al sugo, la ricottina fresca dell'antipasto e l'immancabile gricia.

Soddisfatti e avvinazzati potrete riprendere il giro, imboccare via Rubino sotto l'arco, e godervi una piacevolissima passeggiata lungo questa amena stradina alberata, resa ancora più piacevole nelle serate primaverili dall'intensità del profumo dei fiori ( e se anche sentiste profumo di violette non aspettatevi di veder sbucare Padre Pio da qualche cortile). A metà strada un simpatico murales vi inviterà a soffermarvi per un ripasso completo della filmografia del grande Alberto Sordi. Prima di raggiungere Piazza Sapeto, vi suggerisco di curiosare nell'ultimo condominio a sinistra, dove, soprattutto nelle mattinate di sole, avrete la possibilità di godervi tutto il fascino di un intero cortile adibito a stenditoio, allestito con una variopinta esposizione di panni e lenzuola stesi ordinatamente ad asciugare. Confesso di provare una specie di attrazione morbosa per i caratteristici scorci di panni stesi al sole, umile spettacolo del quotidiano che grazie a quella commistione di semplicità, freschezza e rassicurante malinconia riesce comunque a suscitare un'emozione. Piazza Sapeto ci appare come un' autentica scenografia teatrale, in cui i palazzi sono le quinte di un palcoscenico che si apre inaspettatamente su un panorama metropolitano, lontano anni luce dallo splendore mozzafiato delle vedute del Gianicolo, ma con il fascino underground che solo le  periferie delle grandi città possono offrire. Al posto di una più classica cupola rinascimentale, la protagonista di questo scorcio urbano è la torre dell'orologio dell'albergo Rosso, uno dei quattro alberghi sorti alla fine degli anni trenta come ulteriore espressione architettonica del quartiere, e destinati ad ospitare temporaneamente gli sfollati del centro storico in camerate e spazi comuni.

A questo punto, nel caso abbiate esagerato con il vino di "tanto pe magnà", vi invito alla cautela nello scendere la scalinata di via Angelo Orsini, alla fine della quale, probabilmente complice l'alcol, troverete estremamente romantico il colpo d'occhio che vi si offrirà quando vi volterete alle vostre spalle. Al lato c'è la piccola fontana Carlotta, detta anche fontana degli innamorati in quanto storico luogo di incontro dei fidanzatini per i loro convegni d'amore prima della guerra:  un volto femminile incorniciato da lunghi capelli, da cui zampilla un getto d'acqua fresca, al tempo importante fonte di approvigionamento di acqua potabile per gli abitanti del quartiere.
L'immagine complessiva ci riporta a quegli acquarelli sul genere "Roma sparita", che lasciano un sorriso ebete sul volto ed una piacevolissima nostalgia, canaglia (come direbbe Albano) almeno quanto gli stronzissimi e scivolosi sanpietrini bagnati alla base della fontana.  Scesi dalla scalinata girate a destra per via Roberto De Nobili e proseguite fino a piazza Geremia Bonomelli.
A prima vista lo slargo non ha nulla di attraente, e prima che possiate pensare che vi abbia condotto in un posto totalmente inutile perchè ormai a corto di cartucce, vi segnalerò due piccole curiosità.

Innanzitutto, se guardiamo in alto sulla facciata del palazzo alla nostra sinistra, riconosceremo l'effigie della nostra beneamata ostella, protagonista nel precedente post dell'incipit di questo itinerario e simbolo stesso del quartiere. E' un busto di donna, che mostrandoci un seno scoperto, sembra invitarci maliziosamente a scoprire le sue grazie. E a noi piace pensare che in effetti ,se vogliamo davvero riconoscere la garbata ostella come personificazione del quartiere, quello che stiamo facendo è proprio scoprire le sue bellezze, in entrambi i casi neanche tanto nascoste, così come lei stessa ci invita a fare. Sempre sul muro dello stesso palazzo, un graffito di vernice rossa ci esorta con circa sessant'anni di ritardo a fare quelle che dovranno essere le nostre scelte politiche con un: "VOTA GARIBALDI LISTA 1" (Il volto di Garibaldi era l'emblema del Fronte Popolare in opposizione alla Democrazia Cristiana in occasione delle elezioni del 1948). Non si sa chi sia l'autore, ma è divertente immaginare che l'antenato di coloro che oggi verrebbero presi a calci nel culo per aver imbrattato le mura di un palazzo, abbia avuto le attenzioni di un restauro e di una pensilina a proteggere la sua personalissima, libera espressione.

Siamo quasi sul finale e vi garantisco che come in ogni spettacolo che si rispetti il bello deve ancora venire. Prendete via Basilio Brollo e girate a sinistra in via Rocco da Cesinale, seguendo l'anonimo tratto di strada che vi condurrà fino a piazza Longobardi. Lo spiazzo è dominato dall'elegante edificio che ospita l'asilo "casa dei bimbi", una delle poche costruzioni preesistenti al quartiere come villa e residenza di campagna ( a sua volta costruita sui resti di una Villa Romana di cui rimangono ancora tracce), e oggi conosciuta semplicemente come "la scoletta" dagli abitanti della zona. Da questo punto potete avviarvi verso il tratto più suggestivo e caratteristico, che scendendo per Via Giovanni Ansaldo e poi di nuovo a destra per via Randaccio culminerà nell'atmosfera incantata dell'omonimo Largo Randaccio. Insinuatevi nei cortili, tra nani da giardino e panni stesi ad asciugare (lo so è una fissa), piante che si arrampicano sui portici e palazzetti che sembrano piccoli castelletti in miniatura, dove al posto degli stemmi di famiglie nobiliari, compare il simbolo ICP (istituto case popolari) a ricordarci il paradosso di questo piccolo miracolo architettonico. L'estetica e la funzionalità, il passato e il presente politico, la semplicità popolare e le smanie intellettuali, sono quel continuo contrasto che rende unica questa piccola città nella città. Qui a largo Randaccio lascerò che vi perdiate per curiosare in giro. Concedetemi la piccola bastardata di avervi condotti per mano passo passo, per poi infine abbandonarvi tra i viottoli del quartiere, ben sicuro che alla fine converrete con me che perdersi un pò per la Garbatella è solo un'altra piacevolissima esperienza.
Il giro finisce qui..almeno per me ;)!

I contatti telefonici di "tanto pe magnà" (anche qui la prenotazione è d'obbligo) li trovate sulla pagina http://www.tantopemagna.it/

Grazie a Maurizio, Claudia e Luca per avermi accompagnato nelle mie esplorazioni del quartiere!