martedì 19 febbraio 2013

Dice che 'sta città "non s'ha da fare"!


Esistono diversi modi per entrare a curiosare nella vita privata di un artista: attraverso l’interpretazione delle sue opere, sfogliando l’ultimo numero di Novella 2000 o molto più efficacemente introducendoci all’interno della sua abitazione. Ma non temete: ciò che può suonarvi come un’istigazione a delinquere è in realtà un semplice invito a scoprire una delle tante case museo presenti a Roma, che, complice la quasi totale assenza di visitatori, offrono l’opportunità di fare un salto nel tempo immergendosi completamente nell’atmosfera e nei segreti della vita di un artista, che il più delle volte è prima di tutto un uomo di un altro secolo. Tra queste la più sorprendente è sicuramente la casa museo di Hendrik Christian Andersen, un vero e proprio palazzetto degli inizi del Novecento immerso nella tranquillità residenziale del quartiere Flaminio. Ma chi era Hendrik Christian Andersen? Pittore e scultore, nato in Norvegia nel 1872 ed emigrato con la sua famiglia ancora bambino negli Stati Uniti, Hendrik decide di trasferirsi a Roma durante il classico viaggio di formazione in Europa, una sorta di tappa obbligata per gli artisti d'oltreoceano. Intorno a lui ruotano tutta una serie di personaggi degni di una trama da serial televisivo: il fratello pittore Andreas, morto in giovane età, la ricca cognata Olivia, vera e propria mecenate e finanziatrice dei due fratelli artisti e poveri in canna, lo scrittore Americano Henry James, il suo “maturo” amante nonchè protagonista di un appassionato scambio epistolare, l’onnipresente madre Helene (da cui il nome Villa Helene) e la giovane governante Lucia, in seguito adottata dalla madre, e ultima usufruttuaria della villa, da lei stessa magicamente trasformata in bordello per onorare la memoria artistica della propria famiglia adottiva.


All’ingresso del palazzo, come in una moderna trasposizione del caro vecchio concetto di casa-bottega, veniamo immediatamente accolti dagli ampissimi ambienti del pianoterra che ospitano lo studio di scultura e la galleria d’esposizione, scenario surreale di una collezione apparentemente interrotta. Una sorta di classicismo filtrato all’americana si fonde con i temi  ridondanti e involontariamente propagandistici di inizio secolo che fanno perno sulla gagliardia fisica, la maternità e l’intelletto, consegnandoci un risultato indubbiamente monumentale, ma decisamente discutibile secondo gli snobissimi gusti dell’intellettuale europeo nel quale ci siamo momentaneamente incarnati. La visione d’insieme è grottesca e straniante, ma allo stesso tempo ipnotizzante quasi quanto un momento di brutta televisione. Questi candidi giganti abbandonati sotto il grande lucernario, preziosa fonte di luce per accompagnare i lavori in corso, sembrano avere preso forma appena ieri, e quasi ci si aspetta che da un momento all’altro entri l’autore per chiederci cosa ne pensiamo (fortunatamente non è così e non saremo costretti a mentire).


Passando dallo studio alla galleria, vera e propria sala di rappresentanza per l’esposizione delle opere finite, inizieremo finalmente a comprendere il disegno di una mente lucidamente geniale nel suo folle e megalomane progetto, a cui l’intera produzione artistica era destinata: la costruzione di un’utopica città ideale. Tutte le sue sculture vennero infatti pensate e realizzate per la decorazione degli edifici di una fantomatica città mondiale delle arti, delle scienze e del pensiero filosofico e religioso. L’idea incontrò inizialmente il favore di Mussolini, il quale successivamente troppo preso dagli improrogabili impegni bellici, perse interesse nel progetto condannandolo così all’oblio e al naufragio. L’area individuata per la realizzazione di questo centro mistico-scientifico era quella tra Maccarese e Fiumicino (lo sbocco al mare era infatti una parte integrante, allo stesso tempo simbolica e strutturale, dell’intero progetto): quella stessa zona successivamente santificata da gitanti in canotta, dove l’unico connubio tra scienza e filosofia si è risolto nella ricerca dell’ombra in pineta per la pennichella post pic-nic. Ed è lì che diventa entusiasmante scoprire i disegni, i progetti e le mappe di quello che sarebbe potuto essere e che (purtroppo o per fortuna) venne costruito solo nella mente di un’artista. Quasi ci sentiamo delle spie a sfogliare l’imponente volume illustrato “Creation of a World Center of Communication”, opera magna che ripercorre la genesi di questa città ideale a partire dalle concezioni urbanistiche delle più antiche civiltà. E guardando le sculture e i progetti non possiamo fare a meno di pensare alle scenografie del kolossal in bianco e nero "Cabiria".


Proseguendo al primo piano verremo introdotti nell’appartamento privato dell’artista ( e in seguito “pensione” a luci rosse grazie alla romanesca vena imprenditoriale della sora Lucia Andersen), oggi spesso sede di mostre temporanee. Molto più della mostra di turno a colpirci sono le atmosfere arricchite dalle autentiche decorazioni liberty, che ci riportano al tempo e ai personaggi di questa lunga storia fatta di sogni e amori impossibili, personaggi che, forse in maniera leggermente inquietante, ritroviamo scolpiti nei volti di pietra che decorano la facciata esterna dell’edificio. E così anche la stanza più spoglia, quella dove è parcheggiata la macchinetta automatica delle bevande, diventa allo stesso tempo la più intima, con una collezione originale di foto di Hendrik e della sua famiglia, dei suoi successi lavorativi, dei suoi momenti sia intimi che professionali. Alla fine del giro quasi ci sembra di conoscere tutto di lui: abbiamo ammirato le sue opere e gli strumenti di lavoro, il progetto-sogno di una vita, i suoi libri, i volti dei suoi familiari e delle persone amate, abbiamo percorso le stesse stanze, e soprattutto ci siamo illusi di vivere nel suo tempo per il breve momento di una visita. Uscendo sul terrazzo non possiamo fare a meno di riflettere: non sapevamo nemmeno chi fosse Hendrik Christian Andersen, e appena dopo meno di un'ora ci sembra di aver attraversato la sua vita come in un film. La cosa più sconvolgente? Non abbiamo nemmeno pagato il biglietto.


Il Museo Hendrik Christian Andersen su trova in via Pasquale Stanislao Mancini 20 ed è aperto dal martedì alla domenica tra le 9:30 e le 19:30. L'ingresso è gratuito!